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Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008
Bioetica
Sul testamento biologico
Le vicende umane di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il forte nesso esistente tra Bioetica e Diritto
di Marta Pietroni
A quasi quarant’anni dalla comparsa nella letteratura del termine bioetica la centralità e la complessità delle questioni che appartengono alla sua sfera sono quanto mai attuali. In una realtà dove le grandi conquiste della scienza biologica e delle biotecnologie ci costringono a ripensare l’uomo e l’umanità e a riflettere sulle nuove forme di responsabilità che si devono necessariamente ed urgentemente assumere, la bioetica si pone come coscienza critica di una società tecnologica dove il dialogo tra le scienze e la filosofia si svolge all’interno di una dialettica volta a fornire risposte obiettive fondate su criteri razionalmente validi. Da qui la necessità di approfondire alcune questioni fondamentali connesse alla bioetica e alle antropologie di riferimento, nella prospettiva di un auspicato e proficuo confronto di riflessioni.
I recenti avvenimenti legati alla vicenda umana di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il forte nesso esistente tra Bioetica e Diritto. Di fronte ai casi di“fine vita” il problema della scelta connessa alle cure, se continuarle o sospenderle, e della interpretazione di alcuni specifici interventi come l’idratazione e l’alimentazione artificiale, ha sollevato un forte dibattito intorno a temi cruciali quali il cosiddetto diritto di morire, il testamento biologico, l’uso delle cure palliative, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, il prendersi cura ecc., riportando, inoltre, l’attenzione su quella fondamentale relazione medico-paziente che secondo alcuni dovrebbe essere rivista e valorizzata all’insegna della fiducia e della condivisione.
È stata soprattutto la grande “paura” dell’accanimento terapeutico, ovvero di quei trattamenti medici che risultano sproporzionati rispetto alla condizione clinica del paziente e inutili rispetto ai possibili risultati, a sollevare dibattiti intorno al “testamento biologico” (traduzione dell’espressione inglese living will), coinvolgendo nel dibattito sedi accademiche e parlamentari. Con questo strumento, si vorrebbe offrire al cittadino, nel pieno delle proprie facoltà fisiche, psicologiche e volitive, la possibilità di esprimere “a futura memoria” le proprie volontà riguardanti il suo morire, nell’eventualità di una sopravvenuta incapacità di intendere e di volere. Sebbene dagli anni ‘90 siano stati presentati molti disegni e proposte di legge, l’approvazione di una legge che faccia chiarezza su questa materia sembra lontana. Il primo progetto di legge su questa materia coincide con l’avvio giudiziario del “caso Englaro”, presentato già nel corso della XIII legislatura, insieme a numerosi altri.
Le maggiori divergenze tra i vari documenti possono essere ricondotte ad alcuni punti fondamentali, tra i quali l’atteggiamento nei confronti della nutrizione/idratazione artificiale (NIA); i riferimenti all’eutanasia e all’accanimento terapeutico; la previsione di testamento biologico e la possibilità di obiezione di coscienza. Nonostante le divergenze, sullo sfondo della maggior parte delle proposte legislative e della stessa sensibilità culturale che alimenta la richiesta di una normativa sul “testamento biologico” c’è l’affermazione della validità assoluta del principio di autodeterminazione.
Da qui le grandi questioni. Si può parlare della morte come di un diritto? Si può parlare di dignità e qualità della vita e della morte come di attributi? Si può considerare la vita, anche propria, come un bene disponibile?
Su queste pagine, nel corso dei prossimi mesi, vorremmo aprire un dibattito.
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